Scopriamo insieme la storia e l’evoluzione del tatuaggio.
Storia del tatuaggio
In questi ultimi tempi abbiamo trattato molti argomenti, soprattutto riguardo al significato e alle idee tattoos.
Oggi però, parleremo di qualcosa di più culturale e meno soggetto a giudizio personale: la storia del tatuaggio.
Che cos’è il tatuaggio?
Per tatuaggio si intende sia l’arte pittorica decorativa del corpo umano, sia il risultato di essa.
Tecnicamente consiste nel creare disegni più o meno complessi e colorati sulla pelle.
In che modo?
Semplicemente inserendo delle sostanze chimiche chiamate pigmenti a livello del derma, cioè lo strato intermedio della cute.
Detto così suona parecchio male, soprattutto la parte del “sostanze chimiche“.
Beh… Niente paura!
I pigmenti a norma di legge sono sterili e atossici, ossia non contengono sostanze tossiche in quantità tale da danneggiare l’organismo.
Storia del tatuaggio
Dopo questa piccola ma doverosa introduzione, passiamo all’argomento principale dell’articolo: la storia del tatuaggio.
Inizialmente i tatuaggi venivano fatti inserendo nella cute dei composti organici, generalmente carbone ottenuto dalla combustione di ossa e legna, mescolati con acqua o sputo.
Rispetto a quelli moderni, i tatuaggi antichi erano molto più superficiali.
Il più antico reperto storico riguardante quest’arte risale al 3100/3300 a.c ed è la mummia Otzi.
Da questa scoperta è stato possibile capire che i tatuaggi erano usati sia a scopo rituale che a scopo terapeutico.
Erano infatti eseguiti in corrispondenza di zone di metastasi o artrosi.
Col passare degli anni quest’arte pittorica non scomparve e si sviluppò particolarmente nelle civiltà degli antichi egizi e romani.
Tatuaggi nell’antica Roma
Durante il periodo dell’impero romano, i tatuaggi erano usati al fine di marchiare gli schiavi e i gladiatori.
In questo modo si riconosceva la loro appartenenza all’impero e al padrone.
Col passare degli anni, quest’usanza passò ai soldati, influenzati dai barbari .
Con l’avvento della religione cattolica e l’imperatore Costantino, questa pratica venne proibita.
Tatuaggi Polinesiani
Il termine polinesiano incorpora molte tribù tra cui Samoani, Maori e Hawaiiani.
Queste popolazioni hanno molti aspetti in comune, sia per quanto riguarda la cultura che per quanto riguarda la lingua.
Anche i tatuaggi hanno tratti simili e sono le campiture nere e le linee più o meno geometriche.
Nell’antichità non esisteva la scrittura in Polinesia e con i tatuaggi le persone riuscivano ad esprimere la propria identità e personalità.
Inoltre indicavano lo status sociale e la genealogia dell’individuo e in molti casi lo fanno tutt’ora.
Il tatuaggio è sempre stato un tratto distintivo di queste tribù e iniziò a svilupparsi circa duemila anni fa.
Come in molti altri casi, anche l’arte del tatuaggio polinesiano subì proibizioni e censure a causa della diffusione del cristianesimo.
Tatuaggio in Giappone
In Giappone i tatuaggi sono demonizzati e malvisti da ormai molto tempo.
Purtroppo sono spesso associati alla criminalità e alla Yakuza, la mafia giapponese.
Nel diciottesimo secolo infatti, il tatuaggio era utilizzato per marchiare e riconoscere i banditi e la yakuza lo ha sempre usato come segno distintivo.
Tuttavia questa ostilità è basata su stereotipi sbagliati.
La storia dell’Irezumi, ossia il tatuaggio giapponese, è antica e risale a migliaia di anni fa.
Addirittura sono stati ritrovati dei registri cinesi del terzo secolo dove gli uomini giapponesi erano descritti come “pieni di disegni, sia sul corpo che sul viso“.
Il periodo più fiorente per quest’arte fu il periodo Edo, che va dal 1603 al 1867.
In questo lasso di tempo si svilupparono e si sovrapposero diverse forme d’arte tra cui la xilografia e il tatuaggio.
Dato l’avvento di possibili colonizzatori nel diciannovesimo secolo, il Giappone pensò bene di proibire il tatuaggio al fine di sembrare un “paese civilizzato e all’avanguardia”.
Iniziò così il declino e la censura di questa forma d’arte durò al 1948, anno in cui il governo e gli alleati ritirarono ufficialmente leggi proibizioniste.
Tatuaggio in Italia: Lomboroso e la riscoperta
Come ben sappiamo, in Italia il tatuaggio non è mai stato ben visto.
I motivi sono molti e sono legati principalmente alla religione e alla cultura popolare.
Questo modo di vedere il tatuaggio si diffuse e si amplificò a causa della pubblicazione del saggio “L’uomo delinquente” da parte del sociologo e antropologo Cesare Lombroso.
In quel testo, Lomboroso associò il tatuaggio alla delinquenza e ai modi di fare selvaggi.
La diffusione di tali teorie portò ad un ulteriore censura che si protrasse sino alla fine degli anni sessanta.
Fortunatamente dalla seconda metà del ventesimo secolo la cultura e l’arte del tatuaggio conobbero una progressiva riscoperta, grazie ai vari movimenti hippie e i motociclisti.
Dalla fine degli anni novanta crebbe a dismisura e iniziò ad essere vista come un’arte e una moda.
In conclusione…
Come abbiamo potuto notare nei vari paragrafi di questo testo, il tatuaggio è un’arte millenaria che ha conosciuto alti e bassi.
In passato si pensava avesse scopi terapeutici e alcune culture lo utilizzavano come segno distintivo o di riconoscimento.
Dopo numerose censure e restrizioni di ogni genere, ad oggi il tatuaggio è diventato davvero popolare e ognuno lo interpreta a modo suo.
Bene, siamo giunti al termine di questo articolo.
Gli argomenti da trattare sarebbero stati infiniti: le varie tribù polinesiane, i tatuaggi per gli antichi Egizi e molti altri ancora.
Abbiamo parlato di quelli secondo noi più interessanti o comunque più vicini e conosciuti.
Speriamo che abbiate trovato questo articolo interessante e che vi abbia chiarito le idee su come l’arte del tatuaggio si è sviluppata nel mondo.
Non esitate a commentare qui sotto per eventuali chiarimenti o maggiori informazioni!